Dal nostro inviato Vincenzo Giardina
IVANO-FRANKIVSK (Ucraina), 15 apr. – “Guarda qui: questo è il salotto. Le schegge della vetrata sono arrivate sul divano. Mia madre si è salvata per caso”. Sul display del telefono, Olena Mashko indica scheletri di infissi. Nel video i gatti riprendono già posto accanto ai vasi ma nulla è stato più come prima. Olena sospira, poi indovina un’esitazione e anticipa la domanda. “Da dove vengo? Vengo da dove c’è la guerra”, dice. “Ci tornerò, perché quella è casa mia: mio marito è lì, con mia madre, che ha più di 80 anni e non ha voluto saperne di spostarsi”. Immagini di un’altra vita, a Kostjantynivka, nella regione di Donetsk dove avanzano le divisioni dell’esercito russo. Olena non ha scelto per se stessa, ma per suo figlio. Lui ha 20 anni e adesso è iscritto all’università di Ivano-Frankivsk, dall’altra parte del Paese, meno esposto al rischio di bombardamenti, a poche ore di automobile dal confine con la Romania e l’Unione Europea.“Questa è una bella città e le persone sono accoglienti, anche se nulla è come casa”, dice Olena.
La incontriamo nella clinica San Luca, una struttura dell’arcidiocesi di Ivano-Frankivsk. È un momento di pausa tra gli esercizi di fisioterapia nel reparto di riabilitazione. Per terra ci sono cuscini rossi e blu con hula-hoop gialli e verdi per provare un passo dopo l’altro. Accanto ci sono estensori, cyclette e tapis roulant, sulla parete un albero disegnato che ricorda come dopo l’inverno arrivi comunque la primavera. “Il mio è stato un incidente, nulla a che vedere con la guerra”, racconta Olena. “Sono stata investita da un’automobile in strada; mi sono rotta gamba e menisco e ho riportato fratture multiple, ma sono stata operata e adesso dopo quattro sedute sia il ginocchio che la spalla vanno già molto meglio”. Sboccia un sorriso quando parla del figlio e pure della fabbrica di Kostjantynivka, dove ha lavorato per tanti anni: “Produciamo batterie. Io sono contabile e riesco a continuare da remoto”.
Alla clinica San Luca di storie come queste se ne trovano tante. Legate alla guerra, al caso, alle pene di chi non ha i soldi e ha dovuto fare i conti anche con le carenze dei servizi sanitari: a oltre tre anni dall’offensiva russa del 24 febbraio 2022, le risorse sono per il fronte e il fronte moltiplica i bisogni. “Rispetto agli anni precedenti le necessità di riabilitazione sono cresciute di 200mila pazienti in più”, calcola la dottoressa Irina Lopushanska. Trentanove anni, originaria di Leopoli, la principale città dell’ovest ucraino, è la direttrice del reparto, che è stato inaugurato nel gennaio scorso. “Sono piena di speranza perché questo è un sogno che si realizza”, dice. “In Ucraina la cultura della riabilitazione non c’è mai stata, anche rispetto ai pazienti neurologici colpiti da ictus, da sclerosi multipla o da Parkinson; la guerra ha cambiato molte cose, creando nuovi bisogni dovuti ai traumi, ma ha anche paradossalmente creato opportunità positive”.
Il nuovo reparto della clinica San Luca è una di queste. La struttura è stata realizzata grazie a un progetto finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), denominato “Health Care for Safety and Rehabilitation” e parte di una serie di interventi di “emergenza” per un valore di oltre 46 milioni di euro in favore della popolazione colpita dal conflitto armato. L’iniziativa è realizzata insieme con organizzazioni e reti della società civile: il coordinamento è dell’ong Missione Calcutta e partecipano poi l’arcivescovado di Ivano-Frankivsk, la federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana Focsiv, Opera don Calabria e la Fondazione aiutiamoli a vivere (Fav). Oggi nel reparto ci sono macchinari di ultima generazione, eccellenze non solo ucraine ma europee. Per capirlo basta guardare i monitor della terapia dello specchio: tra le altre cose, in tempi di guerra, aiuta a ridurre il dolore e migliorare la funzionalità in chi ha subito l’amputazione di un arto. Le nuove strumentazioni hanno permesso al reparto di ottenere in poche settimane l’accreditamento da parte del ministero della Sanità, consentendo cure gratuite per i pazienti.
Un altro aspetto decisivo è stata la formazione del personale, possibile grazie al contributo degli esperti dell’ospedale Sacro cuore don Calabria di Negrar. Incontri, corsi e laboratori si sono tenuti a Verona, a partire dal giugno 2024; visite ricambiate con monitoraggio e ascolto a Ivano-Frankivsk, ancora il mese scorso, anche da parte di Elena Rossato, direttrice del servizio di Medicina fisica e riabilitativa. “È stata una condivisione preziosa”, sottolinea Lopushanska, “non da ultimo rispetto alla comunicazione con i pazienti, che non deve essere mai fredda ma sempre empatica”. La dottoressa si ferma a parlare con Igor. Anche lui è di Leopoli, ha 53 anni e un lungo cerotto dietro la testa. È stato sottoposto a una biopsia stereotassica cerebrale, un prelievo di frammenti di tessuto dall’encefalo: sente che la spalla della fisioterapista è lì accanto, ma prova a tenersi in equilibrio da solo, passo dopo passo nei cerchi sui cuscini.
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